Al 1° gennaio 2024 i residenti in Italia tra gli 11 e i 19 anni sono oltre 5 milioni 140 mila, ma nelle proiezioni demografiche il numero dei giovanissimi nei prossimi decenni è destinato a diminuire. Dalle intenzioni espresse dai ragazzi tra gli 11 e i 19 anni una ripresa demografica non sembrerebbe però impossibile. I giovanissimi intervistati vedono infatti il loro futuro in coppia (74,5 per cento) e molti pensano al matrimonio (72,5 per cento). Tra i giovanissimi desidera avere figli il 69,4 per cento. Le nuove generazioni multiculturali e digitali esprimono preoccupazioni: un ragazzo su tre dichiara di aver paura del futuro e il 34 per cento vorrebbe vivere all’estero da grande.

Giovanissimi in diminuzione
La popolazione residente in Italia è caratterizzata da un progressivo invecchiamento e i giovani rappresentano una risorsa demografica in diminuzione. In Italia al 1° gennaio 2024 i residenti tra gli 11 e i 19 anni sono 5.144.171 (stima provvisoria) e rappresentano l’8,7 per cento della popolazione residente. In base ai dati diffusi da Eurostat per l’Ue27, al 1° gennaio 2023, la quota di giovanissimi in questa fascia di età ha un peso relativo sulla popolazione del 9,5 per cento.

L’immigrazione straniera, che negli ultimi decenni ha rinfoltito le fila della popolazione residente, ha prodotto significativi effetti specialmente tra le fasce giovanili della popolazione, alle quali hanno contribuito anche i discendenti degli immigrati nati in Italia. I giovanissimi stranieri residenti tra gli 11 e i 19 anni al 1° gennaio 2024 sono 497.464 (stima provvisoria) e rappresentano il 9,7 per cento dei ragazzi in questa fascia di età, con un’incidenza più elevata di quella che si rileva per il totale degli stranieri sull’insieme della popolazione (9 per cento).

L’indagine su “Bambini e ragazzi” dell’Istat consente di conoscere altri dati interessanti sulla composizione “multietnica” di questo segmento di popolazione. Nel 59,5 per cento dei casi si tratta di stranieri nati in Italia; l’11,7 per cento è nato all’estero e arrivato nel Paese prima dei 6 anni; il 17 per cento è immigrato in età scolare (tra 6 e 10 anni); infine l’11,8 per cento è arrivato a 11 anni o più. Interessante notare che oltre il 6 per cento dei ragazzi italiani tra gli 11 e i 19 anni possiede una doppia cittadinanza e l’8 per cento ha uno dei due genitori nato all’estero.

In aumento la doppia cittadinanza anche tra i giovanissimi
In un mondo sempre più globalizzato, in cui le comunicazioni e le possibilità di spostamento sono sempre più facili e immediate, il significato del termine “cittadinanza” sta cambiando rapidamente e vengono coniati nuovi vocaboli come “transnazionalità” o “appartenenze multiple”. Le leggi si adeguano alla nuova realtà sociale e diversi Paesi negli ultimi due decenni hanno modificato le loro normative per aprirsi alla possibilità del riconoscimento della doppia cittadinanza. In Italia sono sempre di più coloro che hanno una doppia cittadinanza e il fenomeno riguarda anche i giovanissimi.

La duplice nazionalità ha conseguenze formali e legali, ma si traduce spesso anche in un sentimento di appartenenza: chi ha una doppia cittadinanza si sente non solo italiano, ma nell’83,3 per cento dei casi anche dell’altra cittadinanza. Il senso di appartenenza può però svilupparsi anche in assenza di una cittadinanza formale: l’80,3 per cento dei giovanissimi stranieri residenti in Italia (con notevoli differenze tra le collettività) si sente anche italiano, sebbene non sia riconosciuto come cittadino. Per i cinesi la quota di chi si sente anche italiano supera di poco il 47 per cento, ma si sale all’85,8 per cento tra i marocchini e all’89,5 per cento tra i romeni. Tra gli stranieri nati in Italia la quota di coloro che si sente italiano è più alta (85,2 per cento). La percentuale diminuisce invece tra gli immigrati quanto più alta è l’età all’arrivo in Italia, toccando il minimo del 61,7 per cento per chi è arrivato quando aveva 11 anni o più.

Ma cosa richiama alla mente dei giovanissimi il termine cittadinanza? Per i ragazzi, sia italiani, sia stranieri, significa soprattutto appartenenza, comunità e diritti. Pochi abbinano “cittadinanza” al termine “doveri”. Per i ragazzi italiani la parola cittadinanza fa pensare soprattutto a comunità (30,1 per cento); per i ragazzi stranieri questa associazione è molto meno diffusa (17,4 per cento dei casi) e la parola cittadinanza viene associata soprattutto a “diritti” (30,2 per cento contro il 24,7 per cento degli italiani); per entrambi la seconda associazione più diffusa è “cittadinanza-appartenenza” (29,7 per cento per i primi e 29 per cento per i secondi). Sembra evidente che per chi non ha la cittadinanza italiana la questione dei diritti che essa garantisce e ai quali non si ha accesso sia più sentita. Gli italiani, che hanno già la garanzia di tali diritti, valorizzano altri aspetti come il senso di comunità.

Tra le principali collettività straniere a farne soprattutto una questione di “diritti” sono i ragazzi albanesi e marocchini appartenenti alle nazionalità che nell’ultimo decennio hanno dato luogo al maggior numero di acquisizioni di cittadinanza in Italia: queste due collettività coprono da sole il 35 per cento delle acquisizioni di cittadinanza che si sono verificate tra il 2013 e il 2022 (oltre un milione 460mila); completamente diversa la situazione per i cinesi che non collegano “cittadinanza” a “diritti” e per i quali la parola richiama soprattutto il concetto di “appartenenza” (39,6 per cento). Gli atteggiamenti dei ragazzi cinesi risentono del fatto che la Cina non riconosce la doppia cittadinanza e quindi, qualora acquisissero quella italiana, dovrebbero rinunciare a quella di origine.

Essere italiano significa soprattutto essere nato in Italia
Ma cosa significa essere italiano per i giovanissimi tra gli 11 e i 19 anni? L’opzione che raccoglie il maggior numero di preferenze, sia per gli italiani, sia per gli stranieri, è “essere nato in Italia”; “rispettare le leggi e le tradizioni italiane” è, in generale, la seconda scelta, ma risulta essere la prima per i ragazzi stranieri nati all’estero. “Parlare la lingua italiana” ha raccolto nell’insieme meno del 32 per cento delle preferenze, è stata però una modalità scelta frequentemente dai ragazzi cinesi (41,4 per cento) che probabilmente considerano la nostra lingua particolarmente difficile e per i quali può rappresentare quindi un potenziale elemento di esclusione.

Sentirsi italiano” è stato indicato invece solo dal 31 per cento circa dei giovanissimi. I ragazzi stranieri indicano questa modalità meno frequentemente, probabilmente consapevoli che sentirsi italiani non sia sufficiente per esserlo. L’importanza attribuita al paese di nascita si riflette anche sul generale favore da parte dei giovanissimi per l’acquisizione di cittadinanza in base allo ius soli, che prevede che chi nasce in un determinato paese ne divenga immediatamente cittadino. Il 58,9 per cento pensa che chi nasce in Italia dovrebbe subito acquisire la cittadinanza, mentre un altro 21,7 per cento è favorevole all’acquisizione di cittadinanza per i nati in Italia solo dopo un periodo di residenza.

I ragazzi con cittadinanza straniera vorrebbero diventare italiani? Il 62,3 per cento risponde di sì, mentre il 25,6 per cento è indeciso e il 12,1 per cento non lo desidera. Tra i ragazzi cinesi questa intenzione interessa solo il 15 per cento dei giovanissimi, per gli albanesi, una collettività molto incline ad acquisire in generale la cittadinanza italiana, la quota è di poco inferiore al 70 per cento. La complessità della questione “cittadinanza” oggi si legge anche in questi dati, nell’ampia quota di indecisi tra i giovanissimi immigrati e le seconde generazioni, così come nelle sostanziali differenze tra ragazzi di diversa origine.

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