Un nuovo modello di immigrazione per il settore della collaborazione familiare, volto all’accoglienza e all’inserimento nella categoria delle collaboratrici e dei collaboratori familiari provenienti da altri Paesi, partendo da una revisione del sistema di ingresso che superi l’attuale legislazione: era questo lo scopo del XXII Congresso Nazionale di Api-Colf, l’Associazione Professionale Italiana Assistenti Familiari, che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma. La proposta di Api-Colf si basa sostanzialmente su tre punti: quote di ingresso riservate a colf e badanti, specifica formazione professionale conseguita già in patria prima dell’ingresso in Italia, regolarizzazione delle persone già presenti in Italia a seguito di una verifica delle effettive competenze conseguite ed inserimento lavorativo.

“Guardando al futuro avremo sempre più bisogno di collaboratori familiari – ha detto il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana in un videomessaggio, – abbiamo tanti anziani che speriamo possano restare a casa, ma che hanno bisogno di qualcuno che li aiuti, quindi quello di Api-Colf non è un servizio che guarda non al passato ma al futuro”.
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Anche il ministro per la Famiglia, Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Maria Roccella, ha inviato una nota scritta nella quale sottolinea l’importanza degli assistenti familiari addetti alla cura delle persone e della casa che, con il loro lavoro, supportano una forma di welfare e di sostegno per le famiglie, spesso indispensabile, soprattutto nello scenario odierno in cui si è smagliata quella rete parentale che in passato era il punto di riferimento e la soluzione di tante situazioni difficili all’interno dei nuclei familiari.

La presidente Antonia Paoluzzi ha presentato la proposta di Api-Colf nazionale: un nuovo specifico modello di immigrazione per la collaborazione familiare, che passi per una revisione del sistema di ingresso. “Il fine  che si intende perseguire è proporre un modello di immigrazione per la collaborazione familiare che alimenti gli attraversamenti legali e marginalizzi quelli illegali, tendendo comunque a far rientrare il soggiorno nell’alveo della legalità affinché, seppure nell’ambito delle situazioni di estremo disagio, che inducono ad abbandonare la propria terra e, spesso, la propria famiglia, l’impegno nella collaborazione familiare si traduca in una scelta consapevole o, quanto meno, in una convinta adesione e non costituisca un ripiego. Solo se diventa ‘vocazionale’, infatti, questa scelta può costituire una fonte di benessere per le persone che assistono e per le persone assistite”.

“L’inserimento lavorativo delle persone immigrate rappresenta una grande risorsa per il nostro Paese, perché sopperisce a due carenze strutturali italiane: il processo di invecchiamento della popolazione e le politiche di welfare attualmente inadeguate ad affrontare le sfide della crescita della non autosufficienza” è un altro dei punti nodali della relazione.

“L’informazione e la formazione sulle aspettative che nella collaborazione familiare ripongono le famiglie, ma anche sui diritti e sui doveri di cui diventa titolare chi vive e lavora nel cuore delle nostre famiglie, è importante per il benessere sia delle famiglie sia delle persone immigrate” è il pensiero di Api-Colf che, per dare concretezza alle proposte, parla anche di accordi bilaterali con le autorità dei Paesi di provenienza degli immigrati e di concessione di permessi temporanei di soggiorno per motivi di lavoro a coloro che frequentano i corsi di formazione certificati. Nella Legge delega si parla di percorsi professionali e di certificazione delle competenze.

“Le statistiche sono dati empirici che rappresentano le persone – osserva Antonio Ricci, vicepresidente Centro Studi e Ricerche Idos – anche se spesso si preferisce ignorare i numeri reali per parlare della questione immigrazione strumentalizzandola”. Gli immigrati presenti in Italia sono 5 milioni, da anni rappresentano una presenza stabile, vengono da 198 paesi del mondo, portano un patrimonio culturale ricco e variegato, uno su due arrivano da Paesi europei. Le donne sono il 51,2 per cento e la loro età media è intorno ai 35 anni.

Durante la pandemia a perdere il lavoro sono state in prevalenza donne e stranieri. Il problema dell’invecchiamento di colf e badanti è evidente: si tratta di un lavoro logorante, tuttavia molte persone arrivano all’età di pensionamento spesso senza un riconoscimento contributivo e chi rimane può sperare solo in una pensione sociale.

Gianni Rosas, direttore dell’Ufficio Ilo, Organizzazione Internazionale del Lavoro, restituisce un’immagine positiva del nostro Paese, tra i primi a ratificare la Convenzione 189 sul  lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici, entrata in vigore nel 2013. “Eppure, nel settore della collaborazione domestica, l’Italia rimane indietro rispetto ad una serie di regimi speciali, come il congedo di maternità, che non può essere protratto oltre i 5 mesi e la disciplina generale sui licenziamenti”.

“I decreti flussi non danno una giusta risposta – interviene Lorenzo Gasparrini, presidente Ebincolf e segretario generale di Domina, Associazione Nazionale Famiglie Datori di lavoro – le parti sociali sono state visionarie quando quasi 5 anni fa hanno agito in concertazione per la formulazione di una proposta che ha costituito la norma Uni che definisce i requisiti per i profili di colf generico-polifunzionale, baby-sitter e badante. La norma del decreto anziani parla di formazione ora dobbiamo assumere come Ebincolf il ruolo di intermediari con le autorità istituzionali”.

Le istanze al Governo alla conclusione del congresso sono lavorare con priorità per una nuova fiscalità  che possa dare alle famiglie la possibilità di regolarizzare i collaboratori e le collaboratrici familiari e domestiche e il riconoscimento del lavoro domestico come professione.

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