Quasi un quarto dei nati all’estero sente di appartenere a un gruppo sociale discriminato e percepisce un limitato senso di appartenenza verso l’Italia. Di contro, quattro autoctoni su dieci sono preoccupati per la cultura e le condizioni di vita in Italia, messe in discussione dalle persone provenienti da altri Paesi. È una delle principali evidenze che emerge dal Rapporto sull’integrazione dei cittadini di origine straniera pubblicato dall’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) insieme al Ministero del Lavoro. L’indagine analizza il processo di integrazione attraverso le dimensioni dell’istruzione, lavoro, inclusione sociale, condizioni di vita.

Al Nord, dove maggiore è la presenza di immigrati, risultano essere più basse le acquisizioni di cittadinanza italiana, ma è maggiore, rispetto alle realtà meridionali e insulari, la quota di cittadini stranieri che hanno ottenuto un permesso di soggiorno di lungo periodo, condizionato anche da determinati parametri reddituali e abitativi.

“Complessivamente – ha affermato Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp – si delinea una condizione socio-economica dei nati all’estero peggiore rispetto ai nativi, con tassi di povertà relativa elevati, 30 per cento contro il 18, e condizioni abitative precarie. Le condizioni di svantaggio della popolazione immigrata sono più evidenti nelle regioni del Sud per molti aspetti, e per le donne in particolare nel lavoro, con più bassi livelli di occupazione e più alti tassi di sovraqualificazione lavorativa rispetto agli uomini. Da questi dati che certificano una situazione di pronunciata disuguaglianza bisogna partire per individuarne le cause ed elaborare proposte per rimuoverle”.

La ricerca evidenzia inoltre come in Italia attualmente i cittadini di Paesi terzi residenti sono circa 3 milioni e 500 mila, in aumento rispetto al 2021 di quasi il 6 per cento, anche per effetto del conflitto in Ucraina. Tra la popolazione nata in un Paese non comunitario prevalgono, rispetto ai nativi di un altro Stato membro, un maggior senso di appartenenza all’Italia, una maggiore propensione all’acquisizione di cittadinanza, ma anche una più alta identificazione con un gruppo discriminato.

Il tasso di attività medio tra gli stranieri risulta essere leggermente più alto (64,7 per cento) rispetto ai cittadini italiani (63,2 per cento), con livelli più bassi al Sud e nelle Isole per tutti i gruppi osservati. Considerando la forza lavoro degli stranieri non comunitari, il tasso di occupazione al Sud supera la soglia del 60 per cento, mentre tra i comunitari e gli italiani si attesta a poco più del 50 per cento. Al Nord si registra una situazione inversa: la quota di forze lavoro rispetto alla popolazione di riferimento è maggiore tra gli italiani che tra gli stranieri. Rispetto al genere, si registra ovunque una netta prevalenza del tasso medio di attività della componente maschile (circa il 79 per cento), rispetto a quella femminile (47 per cento). La differenza tra le due componenti è massima in Veneto (43,6 per cento), dovuto all’altissima percentuale della quota di forze lavoro degli stranieri non comunitari e minima in Umbria.

Il tasso di disoccupazione dei cittadini stranieri, in modo analogo tra comunitari o provenienti da Paesi extra Ue, si attesta intorno al 15 per cento ed è superiore a quello dei cittadini italiani. La quota di contratti a termine tra i lavoratori extra Ue raggiunge il 27,8 per cento contro il 22 per cento rilevato tra gli stranieri comunitari e il 16 per cento tra i lavoratori di cittadinanza italiana. Aspetto peculiare dei lavoratori stranieri è l’elevata sovraqualificazione lavorativa, dove il genere pesa in modo molto diverso tra cittadini stranieri comunitari ed extra Ue: la situazione è peggiore per i maschi comunitari, mentre è nettamente a sfavore delle donne tra i non comunitari.

“Per ampiezza e affidabilità delle fonti questo rapporto è un unicum ispirato alla modellistica internazionale – ha chiosato Fadda – e sarebbe auspicabile che il nostro Paese mettesse a regime la produzione ciclica di analisi con medesime caratteristiche.
“Il problema delle diseguaglianze che colpiscono la popolazione di origine straniere su molti aspetti della vita sociale pone problemi molto complessi sia sul piano della stessa definizione concettuale di integrazione sia su quello della elaborazione di appropriate strategie capaci di promuoverla. Ma si tratta di sfide da affrontare non solo per ragioni di giustizia e di equità, ma anche perché da esse dipendono coesione sociale, progresso economico e benessere della popolazione” ha concluso Fadda.

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