Il giudice Maria Rosaria San Giorgio (immagine disponibile per i media sul sito della Corte costituzionale)
Non può essere automaticamente respinta la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro in caso di condanna dello straniero per alcuni fatti di lieve entità. La decisione sul rinnovo spetta al questore, che dovrà valutare la pericolosità sociale del richiedente prima di negare il permesso. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con una sentenza, relatrice Maria Rosaria San Giorgio, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. 286 del 1998 (Testo Unico Stranieri) nella parte in cui ricomprendono, tra le ipotesi di condanna che impediscono automaticamente il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle per il reato cosiddetto di piccolo spaccio (articolo 73, comma 5, del d.P.R. 309 del 1990 – Testo Unico Stupefacenti) e per il reato di vendita di merci contraffatte (articolo 474, secondo comma, del codice penale), senza prevedere che l’autorità competente verifichi in concreto la pericolosità sociale del richiedente.
Le questioni di costituzionalità erano state sollevate dal Consiglio di Stato nell’ambito di due giudizi originati da ricorsi presentati da stranieri, la cui richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro era stata respinta per effetto delle condanne per quel tipo di reati. In linea con varie pronunce, in cui erano state dichiarate illegittime disposizioni legislative che, nella materia dell’immigrazione, introducevano automatismi tali da incidere in modo sproporzionato e irragionevole sui diritti fondamentali degli stranieri, e in sintonia con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte costituzionale ha chiarito che il legislatore è titolare di un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale ma entro il limite di un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diritti e degli interessi coinvolti.
A fronte della minore entità dei fatti di reato (in un caso, illecita detenzione di 19 grammi e cessione di 1,5 grammi di hashish, nell’altro vendita di prodotti con segni falsi), l’automatismo del diniego è stato ritenuto manifestamente irragionevole, sotto diverse prospettive. Come si legge in un comunicato diffuso dall’Ufficio Stampa della Corte costituzionale, per le stesse condanne, nell’ambito della disciplina dell’emersione del lavoro irregolare, volta allo scopo del rilascio del permesso di soggiorno, quest’ultimo non è automaticamente escluso, ma implica una valutazione in concreto della pericolosità della persona. Inoltre l’automatismo del diniego, riferito a stranieri già presenti regolarmente sul territorio nazionale (e che hanno iniziato un processo di integrazione sociale), è in contrasto con il principio di proporzionalità, come declinato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
“Può verificarsi che la condanna, nei casi considerati, non sia tale da comportare un giudizio di pericolosità attuale riferito alla persona del reo – ha osservato la Corte costituzionale – e ciò per varie ragioni: la lieve entità e le circostanze del fatto, il tempo ormai trascorso dalla sua commissione, il livello di integrazione sociale nel frattempo raggiunto. Risulta, pertanto, necessario che, nell’esaminare la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, l’autorità amministrativa apprezzi tali elementi, al fine di evitare che la sua valutazione si traduca in un giudizio astratto e, per ciò solo, lesivo dei diritti garantiti dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. La Corte ha inoltre sottolineato che “l’interesse dello Stato alla sicurezza e all’ordine pubblico non subisce alcun pregiudizio dalla sola circostanza che l’autorità amministrativa competente operi, in presenza di una condanna per i reati di cui si tratta, un apprezzamento concreto della situazione personale dell’interessato, a sua volta soggetto ad eventuale sindacato di legittimità del giudice”.