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Crisi climatica e crisi umanitaria sono due facce della stessa medaglia. A ricordarlo sono Legambiente e Unchr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, che nel nuovo report Un’umanità in fuga: gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate e in occasione della giornata mondiale dei diritti umani celebrata il 10 dicembre, fanno il punto su quanto sta accadendo oggi nel mondo, segnato da conflitti che non trovano pace e dalla crisi climatica che avanza sempre di più causando danni all’ambiente e colpendo in maniera sproporzionata le persone in situazione di vulnerabilità perché già costrette alla fuga da guerre e violazioni dei diritti umani. I cambiamenti climatici, inoltre, esacerbano le crisi, provocando nuovi sfollamenti e ostacolando i rientri in sicurezza.

Sono oltre 114 milioni le persone costrette alla fuga da guerre e violenze a livello globale e, secondo le stime dell’Unhcr, quasi il 60 per cento di loro si trova nei Paesi più vulnerabili all’impatto dei cambiamenti climatici, come Siria, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Afghanistan e Myanmar. Preoccupanti anche i dati del 2022, riferiti in particolare agli effetti che gli eventi meteorologici estremi comportano. In base alle stime dell’Internal Displacement Monitoring Centre, solo nel 2022 si è assistito a oltre 32 milioni di nuovi sfollati a causa di disastri, il 98 per cento dei quali legati ad eventi atmosferici come inondazioni, tempeste e siccità.

Per Legambiente e Unchr “cooperazione e dialogo internazionale e più fondi per mitigazione e adattamento agli effetti della crisi climatica ,in particolare ponendo attenzione al sostegno delle persone costrette alla fuga e alle comunità ospitanti, a partire dai gruppi più vulnerabili, devono essere le priorità da mettere al centro con l’urgenza di un’agenda internazionale comune che non può più aspettare”.

“La complessa relazione che esiste tra crisi climatica e migrazioni – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – deve essere al centro dell’agenda politica internazionale, perché è un fenomeno in forte crescita, come evidenzia il nostro rapporto. Occorre farlo prima di tutto in un’ottica di solidarietà, accoglienza e inclusività. Oggi più che mai è fondamentale recuperare il senso della cooperazione e del dialogo a livello globale, mettendolo in relazione con l’impegno di solidarietà che associazioni, volontari e volontarie svolgono quotidianamente a livello locale nel costruire insieme un futuro di pace. Ma al tempo stesso è urgente puntare su politiche incisive contro la crisi climatica e per l’adattamento. L’azione messa in campo sino ad ora dai governi ci porta pericolosamente verso un aumento della temperatura media globale di quasi 3°C entro la fine del secolo, con tutto quello che ne consegue. Serve agire subito attraverso un’agenda comune internazionale, un serio phase out dei combustibili fossili e dei sussidi al loro utilizzo, in modo da poter raggiungere a livello globale zero emissioni nette entro il 2050 e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. Serve infine un serio e concreto patto di solidarietà con l’impegno dei Paesi industrializzati nel sostenere finanziariamente gli interventi di adattamento e di supporto necessari nei Paesi più poveri e più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico”.

“La crisi climatica è una crisi umanitaria. Oltre la metà dei rifugiati e degli sfollati di tutto il mondo risiede nei Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico. Dopo gli orrori della guerra e della violenza, i rifugiati sono costretti ad affrontare anche le avversità indotte dal clima, come siccità, inondazioni e temperature estreme per sopravvivere. Non solo, sempre più spesso il cambiamento climatico è alla base dei conflitti che costringono le persone alla fuga. Per Unhcr è urgente affrontare il crescente impatto che il cambiamento climatico ha sulle persone in fuga, e siamo felici di collaborare con Legambiente per aumentare la sensibilità su questo tema così importante” dichiara Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr per l’Italia, la Santa Sede e San Marino.

Paesi più vulnerabili
Il cambiamento climatico svela una grave ingiustizia: chi ha contribuito meno al degrado ambientale soffre di più. In una tendenza preoccupante, secondo le stime di Unhcr, quasi il 60 per cento delle persone costrette alla fuga nel mondo si trova nei Paesi più vulnerabili all’impatto dei cambiamenti climatici, come Siria, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Afghanistan e Myanmar. Nell’ultimo decennio i rischi legati alle condizioni meteorologiche hanno provocato in questi Paesi una media di 5,7 milioni di sfollati all’anno, oltre il 25 per cento di tutti gli sfollamenti dovuti a catastrofi legate ad eventi meteorologici.

Scenari futuri
Se la crisi climatica procede con questo passo, secondo il rapporto Groundswell della World Bank (2021), entro il 2050 almeno 216 milioni di persone saranno costrette a migrare a causa delle conseguenze del cambiamento climatico. Il numero più alto riguarderà l’Africa sub-sahariana: 86 milioni di persone, pari al 4,2 per cento della popolazione totale; 49 milioni in Asia orientale e nell’area del Pacifico, 40 milioni in Asia meridionale. In Africa settentrionale si prevede che ci sarà la più alta percentuale di migranti climatici, 19 milioni di persone, pari al 9 per cento della sua popolazione, a causa principalmente della riduzione delle risorse idriche.

Qui potete scaricare e leggere il report Un’umanità in fuga: gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate