Come vengono narrate le migrazioni dai media e in particolare dai giornali? È uno dei temi delle ricerche di Andrea Pogliano, professore associato di Sociologia della comunicazione all’università del Piemonte Orientale, intervistato per Agoral. I suoi studi più recenti sul tema fanno parte del progetto Bridges, nato per valutare la produzione e l’impatto delle narrazioni sulla migrazione, comprendere le cause e le conseguenze in Francia, Germania, Ungheria, Italia, Spagna e Regno Unito.
Per l’Italia, il professor Pogliano ha studiato la questione dei “porti chiusi” voluta dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, con lo sbarco di 53 profughi salvati dalla ong Sea Watch a Lampedusa nel giugno 2019, il dibattito del 2017 sulla riforma, poi fallita, della legge sulla cittadinanza in occasione della sua discussione al Senato e il tentativo di strage a Macerata nel 2018.
Oggi chi ha il potere di introdurre narrazioni nel dibattito pubblico, quali strategie sono più efficaci, quanta importanza ha il legame giornalismo-politica e qual è lo spazio dei movimenti che nascono dal basso e delle ong anche per scardinarle? Dall’analisi dei dati e dalle interviste a giornalisti, politici, membri delle ong e attivisti delle seconde generazioni è emerso che sono ancora il giornalismo tradizionale e i leader politici a imporre la narrazione e su un social come Twitter (ora X) viene perlopiù commentata la comunicazione politica e ciò che appare già sui media tradizionali.
“La riforma della legge sulla cittadinanza aveva il favore delle persone, ma un’ampia strategia dei social media del ministro Salvini ha provocato un ribaltamento nel giro di pochi giorni, come emergeva anche dai sondaggi. In questo caso, gli avversari politici hanno dimostrato una scarsa capacità strategica, puntando sui diritti dei bambini che vanno a scuola insieme ai ‘nostri figli’, facendo troppo leva sui sentimenti, scardinati da motivazioni razionali da parte di chi poneva interrogativi, più o meno realistici, sui rischi potenziali” spiega Andrea Pogliano.
Sulla tentata strage di Macerata, quando un uomo sparò a sei persone di colore autoproclamandosi vendicatore dell’omicidio di una ragazza per mano di una persona di nazionalità nigeriana, il professore ricorda che “il primo giorno i media non dissero nulla delle vittime. I media erano concentrati sulle paure dei cittadini. Sembravano loro le vere vittime”.
Emerge molto spesso una differenza nel descrivere la vittima o l’autore del reato, se autoctona o migrante. “Il carnefice italiano ha diritto a una narrazione, i media intervistano parenti e amici, indagano sui motivi del gesto e sulla causa anche in termini psicologici. Ma quando il carnefice è un migrante, quasi sempre i media si accontentano di comunicare la nazionalità come se riassumesse la causa del reato. In pratica un autoctono ha un diritto all’anamnesi, il migrante no” dice Andrea Pogliano.
Dagli studi su questi temi si è visto che negli ultimi 30 anni le narrazioni di fondo non sono cambiate. “I lettori, non percepiscono la differenza nel modo di descrivere i fatti. La società italiana non è raccontata come una realtà multiculturale, i migranti sono visti come soggetti da vittimizzare o come soggetti altri e pericolosi per la cultura e la sicurezza urbana e non sono mai considerati come parte piena della società”.
qui potete scaricare e leggere il working paper a cura di Andrea Pogliano e Marcello Maneri