L’Osservatorio sulle Migrazioni del Centro Studi Luca d’Agliano e della Fondazione Collegio Carlo Alberto di Torino ha pubblicato il settimo rapporto annuale sull’integrazione economica degli immigrati in Europa, curato da Tommaso Frattini (Università di Milano) e Piero Bertino (Centro Studi Luca d’Agliano e Collegio Carlo Alberto).

Oltre a fornire un aggiornamento dei dati annuali sull’integrazione lavorativa dei migranti in Europa, il report comprende una parte monografica, Citizenship Acquisition and the Naturalization Premium, sull’acquisizione della cittadinanza e il premio di naturalizzazione. L’analisi delle differenti performance nel mercato del lavoro di immigrati naturalizzati e non naturalizzati evidenzia come il premio di naturalizzazione sia considerevole.

Gli immigrati con cittadinanza del Paese di residenza hanno una probabilità di occupazione più alta, sono impiegati in occupazioni più prestigiose e meglio retribuite e guadagnano salari più alti rispetto ai non cittadini anche quando sono impiegati in occupazioni simili. Il premio di naturalizzazione è più alto per le donne immigrate e per quelle provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione Europea.

Il rapporto si basa su un’analisi originale dei microdati dell’indagine europea sulla forza lavoro del 2021. Le attività dell’Osservatorio sono sostenute dalla Fondazione Compagnia di San Paolo.

Dei 50 milioni di persone nate all’estero e residenti in un Paese europeo nel 2021, oltre il 40 per cento era cittadino del proprio Paese di residenza, una quota che è andata crescendo nel tempo. Secondo Eurostat, ad esempio, nel 2021 più di 900 mila cittadini stranieri hanno acquisito la cittadinanza di un Paese europeo, in aumento rispetto agli oltre 780 mila del 2020.

Nel periodo 2001-2011, ogni anno circa il 2,3 per cento di tutti i cittadini stranieri nei Paesi europei ha acquisito la cittadinanza dell’attuale Paese di residenza. La Spagna si distingue per avere naturalizzato il maggior numero di immigrati in questo periodo, poco più di 1,4 milioni, seguita da Italia (1,37 milioni), Germania (1,27 milioni) e Francia (1,2 milioni). In rapporto all’entità della popolazione nata all’estero, questi Paesi sono allineati alla media europea, mentre la Svezia è il Paese con il più alto tasso di naturalizzazione annuale: oltre il 7,6 per cento degli immigrati si è naturalizzato ogni anno, tre volte la media europea.

Le donne immigrate hanno una probabilità leggermente superiore agli uomini di essere cittadini del Paese di residenza. Tra gli immigrati di lungo periodo (ossia che hanno vissuto almeno dieci anni nel paese ospitante) il 54,5 per cento delle donne e il 51 per cento degli uomini hanno la cittadinanza del Paese di residenza. Le differenze nella propensione alla naturalizzazione sono ancora maggiori tra gli immigrati provenienti da diversi Paesi di origine e con diversi livelli di istruzione. Infatti, il 57,5 per cento degli immigrati di lungo periodo non proveniente da un Paese dell’Ue, ma solo il 43,5 per cento di quelli provenienti da un Paese dell’Ue, sono cittadini del loro Paese di residenza. Allo stesso modo, la probabilità di naturalizzazione aumenta notevolmente con i livelli di istruzione: dal 43 per cento degli immigrati di lungo periodo con un basso livello di istruzione al 57 per cento tra coloro con un diploma di scuola secondaria di secondo grado e fino al 61 per cento tra quelli con un’istruzione terziaria.

In media, i Paesi europei richiedono un minimo di 7 anni di residenza prima che gli immigrati possano richiedere la naturalizzazione, ma esiste una notevole eterogeneità. La Svizzera è l’unica con un requisito di 12 anni, il più alto in Europa. Tra i Paesi che impongono i requisiti più stringenti vi sono poi l’Austria, il Belgio, la Bulgaria, l’Italia, la Lituania, la Slovenia e la Spagna, che richiedono 10 anni di residenza. Il Paese con il requisito di residenza più breve è invece la Polonia (3 anni), seguita da un gruppo di 12 Paesi richiedenti almeno 5 anni di residenza. Le differenze tra Paesi nella severità dei requisiti di residenza per la naturalizzazione si riflettono in differenze nella propensione alla naturalizzazione: un aumento di un anno nella durata della residenza minima necessaria per accedere alla cittadinanza è associato a una quota di immigrati naturalizzati inferiore di quattro punti percentuali.

In tutta Europa, gli immigrati di lungo periodo naturalizzati hanno una probabilità di occupazione significativamente più alta rispetto a coloro che non si sono naturalizzati: nel 2021 questo premio di naturalizzazione era pari a 4,2 punti percentuali. Il premio di naturalizzazione è più alto per le donne (6,4) che per gli uomini (2,9). Allo stesso modo, la cittadinanza è associata a una probabilità di occupazione più alta di quasi 8 punti percentuali tra gli immigrati non-Ue, mentre non ci sono differenze tra le probabilità di occupazione degli immigrati Ue naturalizzati e non naturalizzati.

Gli immigrati naturalizzati hanno quasi la metà della probabilità di svolgere una professione poco qualificata e a bassa retribuzione rispetto ai non-naturalizzati (13 per cento vs 23). Hanno anche una probabilità più alta di essere impiegati in professioni ad alta retribuzione come dirigenti, professioni intellettuali e scientifiche o tecniche (40 per cento vs 30).

Gli immigrati di lungo periodo naturalizzati hanno una probabilità di trovarsi nel decile inferiore di reddito di 4,9 punti percentuali più bassa rispetto a coloro che non hanno ottenuto la cittadinanza del paese ospitante. Solo 0,3 punti percentuali, meno del 6 per cento del divario complessivo, sono spiegati dalle differenze tra i gruppi in termini di caratteristiche individuali quali sesso, istruzione, origine e anni di residenza. Il 56,5 per cento del divario è invece riconducibile a diversità nel tipo di professioni svolte dagli immigrati naturalizzati e non naturalizzati. Il restante 38 per cento rimane invece non spiegato. Pertanto, il premio di naturalizzazione relativo al reddito è principalmente associato all’accesso a professioni migliori e più remunerative piuttosto che alle differenze di reddito all’interno della stessa ampia classe occupazionale.

Qui potete scaricare il rapporto Immigrant Integration in Europe (in inglese)
Qui una sintesi in italiano

Il Centro Studi Luca d’Agliano è un ente di ricerca senza scopo di lucro nel campo dell’economia internazionale e dello sviluppo con sede presso la Fondazione Luigi Einaudi di Torino e presso il Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi di Milano. Attraverso una rete di istituzioni e ricercatori italiani e internazionali, il Centro Studi promuove e svolge programmi di ricerca su temi come gli investimenti esteri e la diffusione delle tecnologie, il commercio internazionale e le politiche commerciali, le migrazioni e i mercati del lavoro, i comportamenti delle famiglie e le istituzioni rurali nei Paesi in via di sviluppo. Vai al sito