Si terrà lunedì 23 gennaio a Roma (ore 16-18, Sala della Protomoteca, Piazza del Campidoglio) la conferenza I romeni in Italia tra vecchi stereotipi e nuovi orizzonti. Nell’incontro, organizzato da Ambasciata di Romania in Italia, Istituto di Studi Politici S. Pio V e Centro Studi e Ricerche Idos, saranno presentati i dati statistici aggiornati sulla comunità romena in Italia e offerta gratuitamente a tutti i partecipanti una copia del volume bilingue Radici a metà – 30 anni di immigrazione romena in Italia (Edizioni Idos, Roma, 2022) alla presenza del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, dell’ambasciatrice di Romania Gabriela Dancau, dei rappresentati di Idos e S. Pio V, dei coordinatori della ricerca e di noti rappresentanti della comunità, come Madalina Ghenea, Anda Naciu e Andreea Stefanescu. Qui il programma completo. Per tutta la durata del convegno, il volume integrale sarà scaricabile gratuitamente in pdf dal sito www.dossierimmigrazione.it. È richiesta la registrazione tramite Eventbrite.

Il libro esce oltre dieci anni dopo Romania. Immigrazione e lavoro in Italia (Roma, 2008) e I romeni in Italia tra rifiuto e accoglienza (Roma, 2010), pubblicazioni realizzate da Idos per Caritas Italiana che hanno significativamente contribuito a contrastare il panico e i pregiudizi romenofobici esplosi all’interno della società italiana nel 2007.

L’Istituto di Studi Politici S. Pio V e Idos hanno condiviso l’obiettivo di contribuire a inquadrare l’immigrazione romena in Italia in tutti i suoi aspetti, con correttezza e obiettività. I romeni, che in Italia erano poco meno di 10 mila in occasione del Censimento del 1991, hanno sfiorato il milione e duecentomila presenze nel 2018 e sono oggi la prima collettività straniera, con 1.076.412 presenze, pari al 20,8 per cento del totale degli stranieri. Alla presenza, crescente e distribuita sul territorio, si associano numerosi indicatori del progressivo inserimento dei cittadini romeni in Italia, imperniati tutti su un solido radicamento a livello familiare.

Laddove non è possibile mantenere la coesione familiare, l’emigrazione delle donne ha creato problematiche sociali, spesso irrisolte, che hanno portato anche a campagne di “moral panic” tese a colpevolizzare in alternativa l’Italia (da qui l’espressione “Sindrome Italia”) o le dirette interessate, che invece si prodigano al meglio delle possibilità per assicurare una continuità emotiva e una guida da lontano. Tuttavia, il problema del care shortage e quindi della doppia vulnerabilità di madri e bambini left behind rimane ampiamente irrisolto.

Le banche dati Inps riferiscono di 602.312 lavoratori romeni, di cui 128.001 lavoratori domestici. Secondo la Labour Force Survey, si assiste ad una significativa differenziazione di genere: le donne risultano prevalentemente occupate nei servizi domestici, come addette non qualificate ai servizi di pulizia di uffici o esercizi commerciali e nel settore alberghiero in qualità di bariste e cameriere; gli uomini, in quattro casi su dieci, nelle costruzioni. Nel 2020, nei due terzi dei casi (68,9 per cento) svolgono una professione poco qualificata o operaia, contro il 29,8 per cento degli italiani; mentre solo il 5,9 per cento riesce a ricoprire una professione qualificata (rispetto al 39,1 degli italiani). Tale condizione migliora solo parzialmente in caso di possesso di un titolo di studio elevato.

Negli anni più recenti l’imprenditoria romena ha trovato nuova linfa grazie alla progressiva apertura a nuovi ambiti di attività, trainata dal ruolo crescente delle donne. Nel 2020 il valore aggiunto generato dai lavoratori stranieri in Italia è stato pari a 146,7 miliardi di euro, cioè al 9,5 per cento del Pil, e tenuto conto che i romeni in Italia rappresentano oggi il 20,8 per cento della presenza straniera, i lavoratori romeni contribuiscono ogni anno ad almeno il 2 per cento del Pil italiano.

La crisi pandemica (con i vari regimi di lockdown, le chiusure di frontiera temporanee, le quarantene e l’attivazione dei green pass), ha inferto un duro colpo all’arrivo dei lavoratori stagionali e ha prodotto un peggioramento delle condizioni lavorative ed economiche delle presenze stabili, favorendo nell’immediato un’ondata temporanea di ritorni, la cui sostenibilità andrà valutata negli anni a venire.

Nonostante abbia sofferto sporadici episodi di discriminazione, la parte maggioritaria della comunità si sente inclusa e pienamente accettata nella società italiana; il legame creatosi nel tempo ha reso l’Italia quasi una seconda patria, sentimento che è evidente soprattutto tra i giovani, per i quali è sostanzialmente impossibile definirsi interamente romeni o italiani. La complessità identitaria delle seconde generazioni, il sentirsi “mezzo e mezzo” nutrendosi e aprendosi a due radici socio-culturali, rappresenta un valore aggiunto nella odierna società globalizzata, nella quale il loro futuro difficilmente si giocherà solo in un orizzonte ristretto tra Italia e Romania. Interrogati, infine, sulla percezione della propria identità, la maggior parte dei romeni ha dichiarato di sentirsi un “cittadino europeo”. La probabilità di dichiararlo a scapito di “immigrato romeno” o “romeno temporaneamente insediatosi in Italia” e “(futuro) cittadino italiano” cresce con l’aumentare del livello di istruzione e del tempo trascorso nella Penisola.