Ana Cristina Vargas

“Preferisco la definizione di mediatore interculturale perché siamo tutti soggetti culturali. La cultura ci plasma, niente è neutro sul piano culturale. La differenza culturale non è un problema da gestire ma un valore. Certo è una sfida”. Ana Cristina Vargas, antropologa e psicologa-psicoterapeuta, direttrice scientifica della Fondazione Fabretti Ets, ha aperto l’incontro formativo sul tema della mediazione linguistico-culturale organizzato dalla Prefettura di Alessandria in collaborazione con Codici nell’ambito del progetto Fami Agoral 3. L’attività di formazione, che si è tenuta nella sede dell’Associazione Cultura e Sviluppo, aveva il il duplice obiettivo di fornire una cornice teorico-pratica su questo ambito e di creare un’occasione di confronto tra operatori e operatrici del settore pubblico e del privato sociale.

“L’Italia è un paese di immigrazione nel 1973, quando il numero di persone che emigrano risulta inferiore a quelli che arrivano. L’immigrazione è un fenomeno strutturale delle società europee ma molti servizi continuano a ragionare come se fosse un’eccezione” ha spiegato la relatrice.

La popolazione di cittadinanza straniera al 31 dicembre 2023 è di 5 milioni e 300 mila persone. Cala la popolazione complessiva in Italia, che al 1° gennaio 2023 è di 58 milioni e 851 mila unità. L’incidenza degli stranieri residenti sulla popolazione totale è del 9 per cento, in leggero aumento rispetto al 2023.Tra le 198 collettività presenti, le prime sei coprono da sole il 50 per cento di tutti i residenti stranieri: Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina e Bangladesh. Gli stranieri di seconda generazione, ovvero i nati in Italia, dopo il picco toccato nel 2012 con oltre 79 mila neonati, sono costantemente diminuiti.

Vargas ha proposto di considerare la differenza culturale non come un problema da gestire, ma come un valore che arricchisce la nostra visione dell’umano e la nostra capacità di guardare il mondo con occhi aperti, flessibili e creativi. La relatrice ha illustrato il concetto di “incompletezza biologica” dell’essere umano alla nascita, evidenziando come il cervello si sviluppi in risposta a stimoli culturali, influenzando tutto, dalla lingua alle abitudini alimentari e persino lo sviluppo motorio. Un aspetto cruciale è la distinzione tra cultura esplicita (tradizioni, festività) e cultura implicita, o naturalizzata, ovvero quelle norme apprese e interiorizzate che consideriamo del tutto naturali.

Vargas ha sottolineato che “a incontrarsi o a scontrarsi non sono le culture ma le persone”. La mediazione deve quindi mirare non all’uniformità ma all’uguaglianza, ovvero “pari diritti per tutti nella diversità”. La mediazione, dunque, non è solo una traduzione linguistica accurata, ma un “ponte fra visioni del mondo e della cultura differenti”. I mediatori hanno il compito di valorizzare la cultura d’origine dell’utente senza confinarlo in essa, facilitando un dialogo neutrale ed equidistante. Essi sono chiamati a dar voce a temi culturali che le persone potrebbero non esprimere per paura del giudizio, come credenze legate a forze invisibili o malattie.

Nonostante la sua importanza, la professione del mediatore interculturale affronta ancora diverse sfide, tra cui la limitata disponibilità di professionisti, lo scarso riconoscimento formale della mediazione, la visione dei mediatori come figure esterne o meno importanti, la scarsa conoscenza da parte degli operatori su come lavorare efficacemente con i mediatori. La necessità di una formazione specifica per i mediatori in ambiti sensibili come la psichiatria o le cure palliative è stata evidenziata come cruciale.

Il dialogo con i partecipanti all’incontro ha messo in evidenza l’esigenza di una preparazione giuridica per i mediatori e l’importanza di sensibilizzare i nuovi arrivati all’apprendimento della lingua italiana. Si è anche sollevato il tema del lavoro con persone traumatizzate da contesti di guerra e della necessità di supportare le associazioni per creare reti di collegamento.

In chiusura, Vargas ha delineato alcune strategie per rafforzare la mediazione: costruire una buona rete di mediatori di riferimento per ogni servizio, investire sulla formazione, dedicare il giusto tempo alla mediazione, creare contatti con associazioni e figure religiose, mantenere uno sguardo sistemico e offrire formazione sulla comunicazione interculturale anche agli operatori.