South Sudan © Unhcr/Andrew McConnell

Degli oltre 120 milioni di persone in fuga nel mondo, tre quarti vivono in Paesi fortemente colpiti dai cambiamenti climatici. La metà si trova in luoghi colpiti sia da conflitti che da gravi rischi climatici, come Etiopia, Haiti, Myanmar, Somalia, Sudan e Siria. Secondo il rapporto No Escape: On the Frontlines of Climate Change, Conflict and Forced Displacement, entro il 2040 il numero di Paesi che dovranno affrontare rischi estremi legati al clima passerà da 3 a 65, la maggior parte dei quali ospiterà rifugiati e sfollati interni. Allo stesso modo, si prevede che entro il 2050 la maggior parte degli insediamenti e dei campi di rifugiati sperimenteranno il doppio dei giorni di caldo estremo.

Il rapporto, pubblicato dall’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, in collaborazione con 13 organizzazioni di esperti, istituti di ricerca e gruppi di rifugiati, utilizza i dati più recenti per mostrare come gli shock climatici stiano interagendo con i conflitti, spingendo coloro che sono già in pericolo in situazioni ancora più terribili.

“I cambiamenti climatici sono una dura realtà che incide profondamente sulle vite delle persone più vulnerabili del mondo – ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati – La crisi climatica sta provocando sfollamenti in regioni che già ospitano un gran numero di persone sradicate da conflitti e insicurezza, aggravando la loro situazione e lasciandole senza un luogo sicuro dove andare”.

Ad esempio, il devastante conflitto in Sudan ha costretto milioni di persone a fuggire, tra cui 700 mila che hanno attraversato in Ciad, paese che ha ospitato rifugiati per decenni e anche uno dei più esposti ai cambiamenti climatici. Allo stesso tempo, molti di coloro che sono fuggiti dai combattimenti ma sono rimasti all’interno del Sudan rischiano di essere costretti a fuggire di nuovo a causa delle gravi inondazioni che hanno colpito il Paese. Allo stesso modo, il 72 per cento dei rifugiati del Myanmar ha cercato sicurezza in Bangladesh, dove i rischi naturali, come cicloni e inondazioni, sono classificati come estremi.

Il rapporto evidenzia anche che i finanziamenti per il clima non riescono a raggiungere i rifugiati, le comunità ospitanti e altre persone nei paesi fragili e in guerra, per cui la loro capacità di adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici si sta rapidamente deteriorando. Attualmente, gli Stati estremamente fragili ricevono solo circa 2 dollari a persona in finanziamenti annuali per i piani di adattamento, una carenza sorprendente se confrontata con i 161 dollari a persona negli Stati non fragili. Quando gli investimenti raggiungono gli Stati fragili, oltre il 90 per cento è destinato alle capitali, mentre gli altri luoghi ne beneficiano raramente.

I risultati sono stati pubblicati durante la Cop29 a Baku, in Azerbaigian, dove l’Unhcr chiede che i finanziamenti per il clima raggiungano i più bisognosi in percentuali più alte. L’agenzia per i rifugiati esorta inoltre gli Stati a proteggere le persone in fuga, che devono affrontare l’ulteriore minaccia dei disastri climatici, e a dare voce a loro e alle comunità che li ospitano nelle decisioni finanziarie e politiche.

“L’emergenza climatica rappresenta una profonda ingiustizia – ha dichiarato Grandi – Le persone costrette a fuggire, e le comunità che le ospitano, sono le meno responsabili delle emissioni di carbonio, eppure stanno pagando il prezzo più alto. I miliardi di dollari di finanziamenti per il clima non arrivano mai a loro e l’assistenza umanitaria non riesce a coprire adeguatamente il divario sempre più ampio. Le soluzioni sono a portata di mano, ma è necessaria un’azione urgente. Senza risorse e sostegno adeguati, le persone colpite rimarranno intrappolate”.

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